Zanne nipponiche: l'incredibile storia dei cani in Giappone


Zanne nipponiche: l'incredibile storia dei cani in Giappone

La storia dei cani in Giappone

Questo è il primo di due post sui canidi in Giappone.

La presenza di cani in Giappone è antica, e risale almeno all'epoca Jomon, quando l'arcipelago era abitato da un popolo che ha poco in comune con i moderni giapponesi. Sono giunti fino a noi resti di cani nelle tombe di quell'epoca, segno che il cane era considerato sin da allora animale domestico. In altri contesti sono stati rinvenuti solo pezzi di animali, resti evidenti di sacrifici. Lo stato della dentatura di alcuni di questi animali ha rivelato che fossero impiegati per la caccia, soprattutto quella di cinghiale.

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La prima apparizione scritta del cane nell'arcipelago è nelle leggende nipponiche. Il Nihon shoki, opera storico-mitologica che racconta l'epoca dei sovrani, riporta un episodio che ebbe come protagonista l'imperatore Yamato Takeru il quale finisce per perdersi su un passo montuoso dopo aver respinto l'attacco di una presenza malevola, ed è proprio un cane ad aiutarlo a trovare la via.

Con l'inizio della storia documentata, troviamo fonti scritte che riportano l'uso di cani per la caccia e la difesa dei luoghi. Nel Medioevo i precetti religiosi influenzarono la vita quotidiana delle persone, e in particolare ci si poneva il problema del consumo di carne che il buddismo, nella sua forma autentica, condannava con forza. Il monaco Shinran della scuola Jodo, (Terra Pura) tentò di sciogliere il nodo dividendo le carni in due categorie: pure e impure. La carne di cane finì per appartenere alla seconda, assieme a quella delle scimmie. Forse fu anche per questo motivo che in Giappone non si diffuse il consumo di cane nella tradizione culinaria dell'arcipelago.  Anche nell'epoca antica gli imperatori avevano proibito il consumo di carne (non solo di cane) con degli editti, ma se i buddisti medievali hanno dovuto ribadire il divieto, significa che questo non veniva rispettato in passato.

Oltre al consumo di carne, i buddisti condannavano anche la violenza, sia contro le persone che gli animali, ma su questo punto non furono ascoltati. A partire dall'epoca Kamakura, infatti, si diffuse un gioco chiamato Inuoumono. In pratica dei cani venivano chiusi in un perimetro e costretti a a correre al suo interno, mentre i samurai li colpivano con le frecce. Chi colpiva il maggior numero di animali vinceva.

I samurai di questo periodo usavano l'arco e non le armi da corpo a corpo come principale strumento di guerra. Oltre che una forma di intrattenimento, quindi, l'inuoumono era anche uno sport che i guerrieri praticavano per mettere alla prova le proprie capacità belliche.

I buddisti riuscirono a ottenere che fossero usare frecce spuntate per salvaguardare la vita degli animali, ma non sempre venivano usate armi non letali, e, a ogni modo, i cani colpiti, diventavano invalidi anche se sopravvivevano, e non potevano più essere impiegati in altri lavori. Questi cani venivano usati per nutrire i falchi da caccia dei nobili, e spesso morivano in numeri tali che bisognava edificare dei tumuli.

L'interesse per i cani divenne una vera e propria ossessione per Hojo Takatoki, ultimo reggente dello shogunato di Kamakura. Alcune fonti storico-letterarie, riportano che la passione di Takatoki per questi animali era tale che diede il permesso alla gente di pagare le tasse in cani. Oltre che per lo inuoumono, i cani venivano impiegati anche per spettacoli teatrali, e si racconta che venivano trasportati sazi di cibo e vestiti in abiti di stoffa su dei palanchini, davanti ai quali i passanti si dovevano inchinare scendendo da cavallo. In una di queste opere si sostiene persino che i cani siano stati la causa del crollo dello shogunato, dato che Takatoki dedicava più attenzione a loro che alle persone.

Abbiamo pochi casi documentati di impiego di cani per scopi bellici. Uno è quello di Oota Sukemasa che, in epoca Sengoku, usò dei cani per portare dei messaggi tra due castelli assediati dal nemico. Ne dispose cinquanta in un castello e cinquanta nell'altro. Quando l'assedio cominciò, i cani furono inviati da un posto all'altro con dei foglietti legati al collo. I nemici, ignari di tutto, non poterono quindi isolare le fortezze. Questo stratagemma non impedì la caduta dei castelli, ma viene menzionato in un lettera scritta dal figlio dello stesso Sukemasa, quindi è stato messo in atto davvero.

Quando il Giappone entrò nell'epoca Edo, durante la quale l'arcipelago fu chiuso al resto del mondo e non ci furono guerre, venne promulgata una vera e propria legge per la tutela di ogni forma di vita.

La legge viene fatta risalire per convenzione al 1685, e a promuoverla fu lo shogun Tokugawa Tsunayoshi. Il documento passò alla storia con il nome di "Shourui Awaremi no rei", che letteralmente vuol dire "Legge della compassione per le forme di vita". Tsunayoshi la promosse perchè convinto che la difesa di persone e animali fosse un precetto fondamentale del confucianesimo, che in epoca Edo era diventato un sistema di pensiero molto più importante rispetto alle epoche precedenti.

Questa legge vietava non solo di abbandonare bambini e malati, ma anche il consumo di animali (salvo casi specifici o determinate regioni) e ogni azione che potesse rappresentare una forma di maltrattamento verso persone o animali. Anche legare i cani a un albero era considerato maltrattamento. Chi la violava andava incontro a punizioni pesanti. Nei registri dell'epoca sono menzionati casi di persone decapitate per aver ucciso dei cani, o messe agli arresti domiciliari per aver schiacciato una zanzara. I cani avevano delle tutele particolari e vengono riportati episodi di cagnolini trasportati nel palanchino, come ai tempi di Hojo Takatoki.

La legge non piacque al popolo però che, furibondo per l'inflazione, finì per avere in odio lo "shogun Cane", come finì per essere chiamato Tsunayoshi. Alla fine la legge venne abolita dopo la sua morte, ma nel corso del ventennio in cui rimase in vigore, le persone finirono per abituarsi a certe regole che quella legge imponeva e non cambiarono più le proprie abitudini anche se la minaccia delle sanzioni era sparita.

La legge però venne criticata anche in epoche successive, e ancora oggi può capitare che una legge fortemente ideologizzata, passata dal Parlamento giapponese, sia definita ironicamente "Shorui awaremi no rei".

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