La missione Keicho è stata una delle più grandi occasioni mancate nella storia della diplomazia giapponese.
Siamo agli inizi del diciassettesimo secolo e agli esordi dell'epoca moderna. Date Masamune, un grande signore feudale giapponese aveva avviato delle politiche di sostegno alla comunità di francescani facente capo a Luis Sotelo, un prete spagnolo.
Il Giappone era ormai un Paese unito e lo shogun Tokugawa Ieyasu, in ritiro, controllava l'arcipelago attraverso il proprio figlio: lo shogun in carica.
Masamune era sottomesso ai Tokugawa, signori del Giappone, ma era tanto potente da permettersi di attuare nel proprio feudo delle politiche che stonavano con quelle messe in atto dallo shōgun a livello nazionale.
Il rapporto con i cristiani era l'esempio più lampante di questa divergenza di vedute: i Tokugawa sopportavano sempre meno i cristiani in Giappone, e negli anni precedenti avevano insistito molto affinchè gli europei si convincessero a mettere da parte la religione per favorire il semplice commercio. Queste richieste erano state rispettate dagli inglesi e olandesi, poco interessati a diffondere la loro religione protestante nel Sol Levante, ma gli spagnoli e portoghesi, cattolici, non ne volevano sapere di scindere le due cose.
In questo contesto complicato, Masamune si era messo in testa di aiutare il suo ospite Padre Sotelo ad allestire una flotta per tornare in Europa. Il suo obiettivo era l'instaurazione di rapporti diplomatici duraturi con i Paesi europei.
Nel sud del Giappone la presenza dei cattolici era solida, e la città di Nagasaki era di fatto la sede centrale dei gesuiti.
In Giappone, l'ordine dei gesuiti faceva capo al Portogallo, mentre quello dei francescani era legato alla Spagna. In quegli anni le corone dei due Paesi della penisola iberica si erano unite, e il re spagnolo controllava anche la terra lusitana, di fatto. Tuttavia, i portoghesi conservavano ancora un certo margine di azione su alcuni specifici ambiti della loro politica estera, e le attività missionarie e commerciali in Asia erano uno di questi.
Masamune ambiva a rendere la sua remota terra del nord la base giapponese dei francescani spagnoli. I due ordini cattolici tendevano a farsi i dispetti a vicenda, e persino negli ultimi anni in cui i protestanti avevano messo piede in Giappone ottenendo tutte le attenzioni dello shogun, continuavano a non andare d'accordo. I gesuiti avevano sempre avuto una marcia in più fino a quel momento e, tra le tante cose fatte, avevano il merito di aver patrocinato con successo la prima missione diplomatica giapponese in Europa, alcuni decenni prima.
Si trattava di un fatto senza precedenti: mai prima di allora dei giapponesi avevano viaggiato nel Vecchio continente. Ma, al tempo stesso, quella costosa spedizione era stata più un fatto simbolico che altro. I giapponesi visitatori furono dei semplici ragazzi di tredici, quattordici anni, che alcuni preti gesuiti avevano deciso di portare con loro nel corso di uno dei tanti viaggi di ritorno alla propria base europea. L'esperienza fatta da questi giovani di ritorno dal Vecchio Continente, non apportò alcun particolare beneficio ai signori feudali che servivano.
Il progetto dei francescani e Masamune era molto più ambizioso... anche un po' troppo ambizioso per i gusti dello shogun. Tuttavia, il de facto signore del Giappone, Tokugawa Ieyasu, acconsentì incredibilmente al piano di Masamune, alla sola condizione che le navi facessero tappa in Messico, per incontrare il vicerè locale e instaurare rapporti commerciali con la colonia locale spagnola. Il Paese dell'America latina, all'epoca appartenente alla Spagna, era ricco di argento, e quelle ricchezze facevano gola a Ieyasu che da qualche tempo aveva puntato gli occhi su quell'area di mondo.
E così, nel 1613 i francescani e il gruppo di samurai partì. A comandare i giapponesi era un vassallo del clan Date chiamato Hasekura Tsunenaga.
Kcp International: japanese language school
Hasekura Tsunenaga and his travels
La missione fece tappa in Messico, come chiesto da Ieyasu, per poi proseguire in Europa. Si tratta quindi del primo viaggio giapponese in entrambi i continenti occidentali.
Nel Vecchio Continente, i samurai visitarono la Spagna e la Francia, e di particolare importanza fu l'incontro con il re spagnolo Filippo III. Il sovrano iberico decise di prendere del tempo, rimandando la sua risposta ai giapponesi.
Hasekura Tsunenaga, preoccupato dalla decisione del re di temporeggiare, decise di farsi battezzare e abbracciare la fede cristiana, per mostrare al monarca spagnolo e a tutti gli europei i suoi migliori intenti.
Medientipp
Ein samurai im Vatikan
La missione proseguì quindi verso l'Italia. I samurai furono accolti in maniera festante dai romani, e il loro arrivo è registrato da Scipione Amati, uno storico locale di quell'epoca. Fu concesso un titolo nobiliare a Hasekura Tsunenaga, e la cittadinanza onoraria romana a tutti i samurai del clan Date. Il vassallo dei Date posò anche per un ritratto in un prestigioso palazzo nobiliare romano. Lo potete vedere nella foto in basso.
Papa Paolo V ricevette i samurai dopo qualche tempo.
La verità è che gli intermediari diplomatici faticavano a trovare un modo per presentare quegli ospiti esotici. I samurai non si trovavano in Europa per volontà dello shogun, signore del Giappone, ma per ordine di Date Masamune, un semplice signore feudale giapponese. I Potenti europei avevano intuito che quegli uomini avessero quindi uno scarso valore come partner diplomatici. Si cercò di ovviare il problema con degli artifici linguistici, e per questo motivo Date Masamune venne presentato come "Re" di un'area del Giappone, mentre lo shogun veniva definito "imperatore" di tutto l'arcipelago. La falsa convinzione che Hasekura fosse il servitore di un re straniero, contribuì a vincere le resistenze dei signori d'Europa.
I gesuiti portoghesi, però, misero i bastoni tra le ruote al francescano Luis Sotelo e ai suoi accompagnatori nipponici, informando il Papa che il Giappone aveva già una base solida di cattolici impegnati nel proselitismo religioso, la loro Nagasaki, e che l'eventuale benedizione data ai francescani mandati da questo Masamune, avrebbe potuto far innervosire "l'imperatore" (ossia lo shogun) giapponese, da tempo sospettoso verso le intenzioni dei missionari, e ciò avrebbe finito per mettere a repentaglio la sacra missione di tutti i cristiani in Estremo Oriente. Il Santo Padre non capiva bene quale fosse la situazione socio-politica del Giappone, ma questa elaborata descrizione degli eventi contribuì senza dubbio a insinuare il tarlo del dubbio nella sua mente. La richiesta dei nippo-francescani di inviare un vescovo nelle terre di Masamune non fu esaudita: i gesuiti portoghesi avevano vinto e conservavano un margine di vantaggio sui rivali.
Ma questo flop fu solo l'inizio delle delusioni per i viaggiatori asiatici. I gesuiti non erano gli unici attori interessati a veder naufragare quell'ambizioso progetto diplomatico. Sin dalla partenza dal Sol Levante, le navi ispanico-giapponesi avevano trasportato l'uomo che avrebbe condannato alla rovina l'intera missione.
Sebastian Vizcaino, un diplomatico spagnolo, era partito con Sotelo e i suoi alleati samurai, con l'intento di sabotare il loro progetto a ogni costo, informando il re di Spagna delle persecuzioni che lo shogun aveva messo in atto contro i cristiani in Giappone. L'uomo aveva capitanato la prima missione diplomatica spagnola nel Sol Levante, tempo prima, ma nel corso della sua permanenza nell'arcipelago, lo shōgun in ritiro, Tokugawa Ieyasu, si era convinto che i cristiani nella sua terra fossero una minaccia, e aveva effettuato giri di vite sempre più stringenti, seppure non rinunciando al suo sogno di avere rapporti "laici" con la Spagna. Vizcaino sapeva di quelle persecuzioni, e non aveva perdonato i giapponesi, ripromettendosi di far fallire il tentativo dei due Paesi di fare amicizia: era stato mandato in Giappone per costruire un legame, ora tornava in Spagna con l'intento di spezzarlo.
Uno dei motivi per cui il re iberico si prese tempo per rispondere ai giapponesi, è la preoccupazione che nutriva per l'allarme lanciato da Vizcaino riguardo la sicurezza dei cristiani nel Sol Levante.
Quando i giapponesi lasciarono Roma e tornarono in Spagna furono accolti freddamente. Non fu consentito loro di passare per la capitale Madrid, e gli fu ordinato di lasciare immediatamente la penisola iberica per tornare in Messico. A nulla valsero le proteste del samurai Hasekura: i giapponesi lasciavano l'Europa con in bocca il sapore della cenere.
In Messico vennero riprese le trattative per instaurare i rapporti commerciali che Ieyasu desiderava, ma anche il vicerè ispanico locale si mostrò sordo alle richieste degli ospiti. La spedizione in America Latina si concluse nel peggiore dei modi.
Disperato e avvilito, il samurai dei Date fece tappa nelle Filippine, sperando che il governatore locale, anch'egli spagnolo, gli desse un minimo di soddisfazione, lasciando aperto uno spiraglio per un Giappone sempre più isolato. Ma anche nel sud-est asiatico non ci fu nulla da fare: il mondo cattolico aveva sbattuto le porte in faccia al Sol Levante.
Tokugawa Ieyasu, prendendo atto di ciò, rinunciò a intavolare rapporti con i Paesi europei dell'area mediterranea. Negli anni seguenti i cristiani furono banditi da tutti i feudi giapponesi e anche Date Masamune, seppur riluttante, dovette mettere in atto le persecuzioni ordinate dallo shogun. Luis Sotelo fu messo al rogo dopo il suo ritorno in Giappone, ed è stato beatificato da Papa Pio IX come martire della Chiesa cattolica nel 1867.
Dopo la morte di Ieyasu, il terzo shogun attuò la politica del "Paese chiuso", che fu la parola d'ordine per tutta l'epoca moderna, dalla prima metà del 1600 fino al 1868. Solo agli olandesi fu consentito l'accesso a una specifica area di Nagasaki a scopo commerciale. Tutti gli altri europei non avevano più la possibilità di entrare in Giappone, salvo poche eccezioni concesse dallo shogun.
Tutte le informazioni riportate in questo articolo, si basano sugli studi svolti dallo storico giapponese Hirakawa Arata, docente della Tohoku University ed esperto, tra le altre cose, di storia del clan Date e dei rapporti tra i giapponesi del nord e i missionari europei. Gli studi sono riportati nel suo libro: 戦国日本と大航海時代 (Il Giappone di epoca Sengoku e l'epoca dei grandi viaggi via mare), per il quale ha vinto il premio letterario Tetsuro-Watsuji nel 2018.