La vita è un rituale


La società giapponese è fortemente ritualistica.

In epoca antica, molti aspetti della vita quotidiana erano ritualizzati: la preparazione del tè, la scrittura degli ideogrammi, il suicidio, la consegna dei premi dopo una battaglia, addirittura nei banchetti esistevano regole da seguire nel modo in cui bisognava disporsi, chi si doveva sedere dove etc. Molte di queste consuetidini sono state mantenute anche oggi, in alcune aziende particolarmente tradizionaliste, dove bisogna stare attenti a quale posto si sceglie non solo quando si partecipa a una riunione, ma anche a una celebrazione di gruppo.

Naturalmente lo stesso valeva per le cerimonie religiose, praticate continuamente dai cortigiani e samurai.

Era usanza recarsi a un tempio per interloquire con la divinità tutelare del clan, prima di avviare una grande battaglia o un progetto importante.

Si consegnava al tempio un foglio scritto, dove il signore supplicante spiegava cosa stava per fare, contro chi intendeva combattere e perchè, chiedendo alla fine che la divinità garantisse protezione e successo.

Tutti questi eventi ritualizzati dovevano avvenire secondo un ordine preciso, e, ogni volta che si verificava un imprevisto di qualche tipo, i giapponesi esitavano, domandandosi se esistesse un "precedente" a cui fare riferimento per gestire quella situazione.

Ad esempio, una volta un uomo morì improvvisamente nel corso di un matsuri, un festival importante che si teneva ogni anno nella capitale. Tutti i partecipanti entrarono nel panico e il matsuri fu interrotto per chiedere consiglio a due esperti su come gestire quella situazione senza precedenti.

La morte era vista come una "contaminazione", e il momento in cui era avvenuta era particolarmente delicato, ma al tempo stesso non portare a compimento il matsuri avrebbe potuto far arrabbiare la divinità. Quale scelta prendere, quindi? Esisteva un precedente a cui fare riferimento per gestire una situazione simile?

Alla fine i due esperti espressero il loro parere sulla base degli studi che avevano svolto negli archivi storici.

A proposito di archivi, i nobili di Kyoto, la capitale, tenevano diari personali dove erano descritti questi rituali, che organizzavano loro stessi e a cui prendevano parte, affinchè fossero registrato tutto, nei minimi dettagli, così che se qualcuno in futuro si fosse trovato a gestire un imprevisto già affrontato, avrebbe potuto avere un precedente a cui fare riferimento.

Questo aspetto di "rigidità" e timore verso la novità si è sedimentato profondamente nella cultura giapponese, urbana soprattutto ma, in misura minore, anche in quella rurale, ovvero nelle terre dei samurai.

Questo è dimostrato anche dall'uso frequente dell'espressione "senza precedenti" o "mai sentito prima", che nei documenti storici viene spesso usata da chi scrive per esprimere stati d'animo negativi di timore, rabbia, ironia o disprezzo verso l'argomento di cui parlano.

Una volta il signore feudale Takeda Katsuyori, ad esempio, decise di chiedere ai monaci, ex samurai, nei templi del suo feudo di tornare ad imbracciare le armi, dato che aveva perso molti guerrieri a seguito di una battaglia. Quando i suoi nemici lo seppero scrissero delle lettere indirizzate tra loro in cui deridevano Katsuyori, affermando che la decisione che aveva preso era assurda e disperata, e lo criticarono proprio dicendo che una cosa del genere "non avesse precedenti".

I giapponesi antichi vivevano la

vita secondo un manuale, a cui dovevano essere apportate il minor numero possibile di modifiche.