Fumio Kishida viene spesso presentato dalla stampa occidentale come l’erede di Shinzo Abe, e un primo ministro fortemente volenteroso di cambiare la Costituzione per togliere le restrizioni che impedirebbero al Giappone di diventare ancora una volta una grande potenza militare.
Ma come spesso accade, la verità è molto più complessa di certe semplificazioni giornalistiche.
L’ex primo ministro Shinzo Abe (morto lo scorso anno in un attentato) e l’attuale primo ministro Fumio Kishida appartengono allo stesso partito, ma a fazioni diverse. Il Partito Liberal Democratico (da qui in poi PLD) è il partito di maggioranza che ha governato il Giappone quasi ininterrottamente dal dopoguerra a oggi. Alcune volte è stato paragonato alla Democrazia Cristiana in Italia, che ha mantenuto il potere per diversi decenni. Il PLD è effettivamente una sorta di DC che dura da molto più tempo e, come l’ex partito italiano, ha la caratteristica di avere diverse “fazioni” al suo interno.
Shinzo Abe apparteneva alla Seiyukai, la fazione più conservatrice, liberista e militarista delle tante che compongono il partito. I suoi membri tendono a considerare la Cina una minaccia alla sicurezza giapponese. Fumio Kishida invece appartiene alla Kouchikai, che sostiene politiche di welfare e, in ambito estero, punta a mantenere l’ordine internazionale attraverso la diplomazia. La Cina è vista come un partner di vitale importanza.
Già da questo breve riassunto si capisce come queste due fazioni siano di fatto incompatibili tra loro, sia sulle politiche economiche che quelle estere, eppure convivono nello stesso partito e, quando si forma un governo, esponenti di entrambe le fazioni partecipano all’esecutivo guidando dei ministeri.
Shinzo Abe è stato il primo ministro più longevo della storia giapponese dal dopoguerra a oggi, e ha guidato il Giappone ininterrottamente dal 2012 al 2020. Fumio Kishida è stato il ministro degli esteri più longevo dello stesso arco di tempo, e ha gestito i rapporti internazionali del Giappone dal 2012 al 2017.
In altre parole, Kishida e Abe hanno lavorato insieme negli stessi governi, ma i due sono spesso stati in disaccordo. Nel 2015 Fumio Kishida mise le barricate quando Abe si mostrò intenzionato a modificare l’articolo nove della Costituzione, che vieta al Giappone di avere un esercito (attualmente il Giappone è dotato di forze di auto difesa che, sebbene pesantemente armate, non possono scatenare guerre di aggressione o preventive contro altri Paesi).
Kishida e la sua fazione erano categoricamente contrari alla modifica costituzionale e si opposero ai piani del primo ministro. Ad Abe la cosa non andò giù e decise di punire il suo ministro per questa alzata di testa. A seguito di uno dei numerosi rimpasti del governo, furono tolti i ministeri a quattro esponenti della Kochikai, solo a Kishida fu consentito di tenere il Ministero degli Esteri. Altre tensioni si registrarono nel 2017, sempre in occasione di un rimpasto. Le dispute tra i due sono riportate negli articoli che seguono.
https://mainichi.jp/english/articles/20170713/p2a/00m/0na/016000c
Nel 2021 Kishida vinse le elezioni interne al suo partito e poi quelle nazionali, diventando primo ministro. La sua scelta per il Ministero degli Esteri ricadde su un politico appartenente alla sua fazione, mostrando chiaramente di voler dare continuità al lavoro svolto negli anni precedenti.
La notizia non può che essere stata presa positivamente dalla Cina. Nel suo libro: “Kishida Vision: fundan kara kyocho he” (La visione di Kishida: dalle divisioni alla cooperazione), l'attuale Primo Ministro riporta un interessante aneddoto. I fatti risalgono al meeting dell’ASEAN a Brunei, nel 2013, in cui Kishida, allora ministro degli esteri giapponese, incontrò la sua controparte cinese Wang Yi, il quale, parlandogli direttamente in lingua giapponese senza interprete, e quindi in privato, gli disse:
“Gli attuali rapporti sino-giapponesi sono in una situazione terribile, Kishida-san. Tu fai parte della fazione Kochikai, giusto? Se ne fai parte, dovresti dare importanza ai rapporti con la Cina”.
Kishida rimase sorpreso di questa considerazione, e gli rispose che non solo faceva parte della Kochikai, ma che addirittura ne era il capo. La notizia fu accolta con gioia dal suo interlocutore.
Nei primi mesi del suo governo, Kishida effettivamente ebbe degli atteggiamenti molto diversi dal suo predecessore Abe. In occasione del boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino promosso dagli USA, ad esempio, non comunicò alcuna decisione per diverse settimane, e, tramite portavoce, espresse grande riluttanza a prendervi parte.
Sempre nel suo libro, risalente al Ottobre del 2021, mese in cui formò il suo primo esecutivo, Kishida parla poco della sua idea di come dovrebbero essere i rapporti tra Giappone e Stati Uniti, ma una sua affermazione al riguardo mi è rimasta particolarmente impressa:
“Il Giappone non è un Paese di procura degli Stati Uniti, qual’è il ruolo che può avere di suo?”.
Frasi di tutt’altro tenore rispetto alle posizioni di Shinzo Abe, che considerava la cooperazione nippo-statunitense in funzione anti-cinese la base della politica estera giapponese. E, in effetti, proprio nelle settimane concitate in cui si discuteva del boicottaggio delle olimpiadi cinesi, Abe si fece sentire in alcuni interventi pubblici in cui, sebbene non facesse il nome di Kishida, sosteneva la necessità di difendere Taiwan dalla Cina e di aderire alla richiesta di boicottaggio promossa da Washington. Ci furono anche degli incontri privati tra i due, formalmente fatti passare come delle occasioni da parte di un ex primo ministro di dare “consigli” al suo successore ancora con poca esperienza. In realtà possiamo immaginare che dietro le porte i due abbiano avuto discussioni alquanto vivaci.Alla fine, la replica pubblica di Kishida fu affidata a un portavoce della residenza ufficiale del primo ministro:
“Se sei mesi dopo le Olimpiadi di Tokyo aderissimo a un boicottaggio internazionale, cosa penserebbero gli altri del Giappone? I rapporti tra Giappone e Cina non sono cattivi come quelli tra Stati Uniti e Cina. Dal punto di vista del Ministero degli Esteri, la posizione di evitare il boicottaggio è forte. A differenza degli USA, Giappone e Cina sono vicini, e anche il livello di dipendenza che abbiamo con la Cina è diverso [dal loro]. Questo è il motivo per cui il PM Kishida parla di dare priorità all’interesse nazionale del Giappone. Tuttavia, le affermazioni degli USA e la forza degli interventi di Abe e Takaichi emergono, mettendoci in un dilemma”.
Alla fine Kishida decise di mandare a Pechino i rappresentanti del comitato olimpico giapponese e un parlamentare della Camera Alta, ma in veste di inviato del comitato di organizzazione, e non come politico. Kishida, inoltre, rifiutò di usare pubblicamente l’espressione “boicottaggio” a proposito di questo verdetto. Questa mossa “tiepida” non può che aver suscitato molto fastidio a Washington.
Un’altra occasione di tensione con gli USA si ebbe sempre in quei mesi, quando ci fu un’epidemia di coronavirus in alcune basi americane in Giappone che si estese nelle comunità locali, e le autorità giapponesi accusarono gli americani di non aver rispettato i protocolli di sicurezza anti-contagio. Il caso fu risolto quando gli americani accettarono di implementare maggiori misure di sicurezza e ridurre il viavai di soldati allo stretto indispensabile.
Ma le cose cambiarono drasticamente a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. L’evento segnò un apparente cambio di rotta nell’approccio di Kishida alle questioni internazionali, in particolare nei confronti della Russia ma, per forze di cose, anche verso la Cina.
Negli interventi pubblici successivi al 24 Febbraio del 2022, Kishida ha cominciato a esprimere la necessità di "difendere" l’ordine internazionale, e il Giappone è stato uno dei Paesi che più si è mosso in fretta nell’imposizione delle sanzioni economiche alla Russia.
Inoltre la discussione sulla modifica Costituzione e l'aumento delle tasse volto a incrementare le spese militari sono diventati argomento all'ordine del giorno, e hanno avuto effetti diretti sulla popolarità di Kishida. Faccio notare che nessuna delle due questioni è stata sollevata nel suo libro pubblicato prima che iniziasse la guerra in Ucraina, fattore che, assieme alle proteste menzionate sopra risalenti al 2015, dimostra che le decisioni che il leader giapponese sta prendendo in questa fase sono motivate da fattori esterni, non certo da sue posizioni ideologiche.
Possiamo sospettare, infatti, che in questa fase si siano fatte più forti le pressioni da parte della Seiyukai per mettere in atto la modifica costituzionale dell’articolo nove. La vittoria decisiva alle elezioni alla Camera Alta ha reso possibile per il PLD di attuare quelle riforme nella Dieta, il Parlamento Nazionale, avendo il partito di maggioranza ottenuto i numeri che gli servivano per far passare gli emendamenti.
Kishida si è ritrovato quindi nella sgradevole situazione di poter realizzare il sogno di Shinzo Abe che, però, per lui è sempre stato un incubo: la stesura e attuazione di una riforma che avrebbe significato la potenziale distruzione del clima di cooperazione internazionale che lui stesso aveva promosso e supervisionato nei sei anni in cui servì come ministro degli esteri.
Ho un altro interessante aneddoto da raccontare che testimonia la profonda riluttanza che prova l’attuale PM giapponese a passare alla storia come colui che ha permesso al Giappone di diventare nuovamente una potenza militare aggressiva.
Alcuni mesi fa Fumio Kishida è stato messo sulla copertina del TIME, il sottotitolo della rivista cartacea recita così: “Japan’s Choice: Prime Minister Fumio Kishida wants to abandon decades of pacifism, and make his Country a true military power”. Chi è arrivato a questo punto della lettura del mio articolo si renderà conto dell'inesattezza di tali affermazioni, particolarmente alla luce di quel “wants” che fa sembrare il diretto interessato genuinamente favorevole alla trasformazione del Giappone. Quando Kishida ha saputo di questo titolo ha reagito facendo notare che lui è un pacifista e, come figlio di genitori provenienti da Hiroshima, è un convinto sostenitore della de-nuclearizzazione. Gli editori del TIME hanno corretto il tiro cambiando il titolo della versione online della rivista, ma per quello dell’edizione cartacea era troppo tardi ed è rimasto così: la prova di un’eredità che Fumio Kishida non vorrebbe mai consegnare al suo Paese, e all’Estremo oriente in generale, ma che forse sarà costretto a lasciare perché non è il singolo individuo a fare la storia, ma le numerose associazioni che ha alle proprie spalle, a cui deve rispondere se vuole mantenersi al vertice del potere.