Il trauma del petrolio: il Giappone e il caso Nisshomaru


Il trauma del petrolio: il Giappone e il caso Nisshomaru
Alessandro Amitrani

di Alessandro Amitrani

Il petrolio, si sa, è una risorsa energetica importante, per cui sono state mosse guerre.

Le sanzioni che gli USA misero al Giappone nell'estate del 1941 per impedirgli l'approvvigionamento di petrolio, e altre materie prime, fu la ragione che indusse i giapponesi a fare la guerra agli americani. Tokyo, infatti, otteneva oltre l'80% del petrolio dagli USA in quegli anni, ma le invasioni di Cina e Indocina avevano inasprito fortemente i rapporti tra i due Paesi.

Dopo la sconfitta del Giappone, gli Alleati occuparono l'arcipelago per otto anni, e decisero di dare ai giapponesi solo il greggio strettamente indispensabile per sopravvivere. Quando l'occupazione finì, gli USA si assicurarono che il Giappone mantenesse comunque una dipendenza energetica da loro

L'unica petroliera che i giapponesi possedevano in quegli anni, la Nisshomaru II, attraversava continuamente il Pacifico per raggiungere San Francisco e caricare petrolio costoso e di bassa qualità da riportare in patria. La situazione era tornata a come era prima della guerra: il Giappone comprava greggio americano, solo che ora lo faceva secondo i termini di Washington.

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播磨造船所の歴史⑧

Le cose cambiarono a seguito di un evento inaspettato: l'annuncio dell'Iran di aver nazionalizzato il proprio petrolio. Il Presidente iraniano Mossadeq aveva fatto questa mossa per affrancare il suo Paese dall'influenza coloniale inglese, che si esprimeva attraverso i termini di un contratto per lo sfruttamento del petrolio iraniano, contratto che era considerato iniquo da Teheran. La risposta inglese non si fece attendere, e Londra attuò immediatamente un boicottaggio del petrolio iraniano, facendo pressione ad altri Paesi per prendervi parte. Questa serie di eventi passò alla storia con il nome di "Crisi di Abadan".

Mossadeq avrebbe voluto vendere il greggio del suo Paese ad altri acquirenti, ma nessuno osava approcciare le coste iraniane, per non incorrere nelle ire di Londra, in primo luogo, ma anche perchè era complicato farlo senza passare attraverso acque controllate dagli inglesi. Il Regno Unito, infatti, in quel periodo aveva ancora un forte controllo su alcuni degli stretti marittimi più importanti del mondo.

Ci provarono gli italiani, quando la nave cargo Rose Mary, battente bandiera di Honduras ma noleggiata dal Direttore del EPIM, il Conte Della Zonca, raggiunse l'Iran e fece il pieno di greggio, tentando poi di portarlo a Bari. L'impresa fallì nei mari di Aden, dove la nave fu sequestrata dagli inglesi, mentre un tribunale locale condannava il capitano Giuseppe Jaffrate per aver guidato la nave in quell'impresa.

Il petrolio iraniano era pericoloso, a causa del braccio di ferro in corso tra Londra e Teheran, ma anche molto appetibile in quanto economico e di ottima qualità. Gli iraniani cercarono attivamente potenziali acquirenti e, tra loro, approcciarono il giapponese Idemitsu Sazo, Presidente della Idemitsu Kosan, oggi la seconda compagnia di petrolio più grande del Giappone, ma allora solo una delle prime dieci. La Idemitsu Kosan in quel periodo era addirittura priva di raffinerie sul suolo nazionale, ma era l'unica compagnia giapponese che possedeva una petroliera, la Nisshomaru II, soprannominata "figlia della tigre" per le sue enormi dimensioni.

Il Presidente Idemitsu esaminò l'offerta iraniana e non gli piacque per nulla. La prima visita di un alto ufficiale iraniano a Tokyo si risolse in un fiasco. Il Giappone era appena uscito dal periodo di occupazione americana e faticava a rientrare a pieno titolo nella comunità internazionale. Se la Idemitsu Kosan fosse entrata a braccio teso in un caso diplomatico sensibile come quello dell'Iran, le conseguenze avrebbero potuto investire tutto il Paese.

Poi però le cose cambiarono. Organi di diritto internazionale, come l'ONU e la CIG all'Aia, cominciarono a dare ragione all'Iran, mentre, nei mesi successivi, un tribunale di Venezia ribaltò il verdetto di Aden pronunciandosi a favore dell'equipaggio della Rose Mary, e questo fu percepito come il riconoscimento da parte di uno Stato sovrano della legittimità della nazionalizzazione del petrolio iraniano. Ora c'era campo libero e si poteva prendere in esame la proposta iraniana e, quando l'alto ufficiale di Teheran tornò a Tokyo accompagnato da imprenditori americani che mediavano le trattative, fu accolto con grande entusiasmo.

Il Presidente Idemitsu mandò il proprio fratello a Teheran per incontrare Mossadeq e concordare i termini dell'accordo. Fu un viaggio difficile, dovuto anche al fatto che Giappone e Iran non avevano rapporti ufficiali all'epoca, e non esistevano ambasciate nei rispettivi Paesi, ma alla fine il gruppo raggiunse l'Iran e cominciò la lunga serie di negoziati volti a stabilire prezzi e modalità di vendita.

Quando la Nisshomaru II partì per l'Iran fu mantenuto il riserbo totale. Il governo giapponese sapeva degli accordi che l'Idemitsu Kosan. aveva preso con Mossadeq, ma la stampa non fu informata per paura che gli inglesi avrebbero potuto intercettare la Nisshomaru II se avesse saputo del piano. Come detto, quella era l'unica nave petroliera posseduta dal Giappone in quegli anni, e il suo viaggio in Iran era un momentanea deviazione dal suo percorso abituale verso la California. Se gli inglesi l'avessero confiscata e tenuta bloccata per mesi, il Giappone avrebbe avuto molta difficoltà a trasportare il petrolio americano in viaggi successivi: l'approvvigionamento energetico dell'intera Nazione sarebbe stato a rischio.

Per queste ragioni fu mantenuto il silenzio radio durante la traversata verso il golfo Persico, e persino l'equipaggio fu tenuto all'oscuro sulla reale destinazione della nave per la parte iniziale del viaggio. Quando seppero del piano della Idemitsu Kosan, gli uomini di bordo compresero l'importanza che quella missione aveva per il loro Paese e si entusiasmarono.

Alla fine la nave giunse a destinazione, e Mossadeq e gli uomini di governo iraniano accolsero i giapponesi, assieme a un nutrito gruppo di giornalisti, frementi di raccontare ai loro lettori la storia di quello scambio commerciale carico di aspettative e speranze per il loro Paese isolato. C'erano anche moltissimi curiosi che accolsero festanti i nipponici.

Ci vollero alcuni giorni per completare le operazioni di carico e, nel frattempo, il Regno Unito venne a sapere della Nisshomaru II e del contratto tra i giapponesi e gli iraniani. La copertura mediatica rese il viaggio di ritorno della nave molto insidioso. Il vascello non poteva tornare a casa passando per lo stretto di Malacca, controllato dagli inglesi, ed era costretto quindi a navigare acque pericolose per allungare il viaggio. La nave passò per lo stretto di Sunda, che si caratterizzava per la presenza di acque basse e barriere coralline, oltre che di relitti di navi affondate durante la guerra e persino alcune mine non detonate. Come se tutto questo non bastasse, c'era un dettaglio scaramantico che rendeva l'attraversamento di quella zona piuttosto inquietante. La nave Nisshomaru I, la "sorella maggiore" della petroliera della Idemitsu Co. e molte altre petroliere nipponiche cariche di petrolio indonesiano erano state affondate durante la guerra proprio in quelle acque.

International Institute for law of sea studies

Navigational Regimes of Particular Straits, Sunda and Lombok case study

Tutto si risolse per il meglio però, e la nave raggiunse la destinazione sana e salva. A quel punto la comunità internazionale sapeva della sfida dei giapponesi al Regno Unito, e gli inglesi, furibondi, fecero causa alla Idemitsu Kosan per aver preso quello che consideravano "il loro petrolio". Il processo si svolse a Tokyo e diede ragione a Idemitsu. 

Il verdetto arrivò diversi giorni prima che la Nisshomaru II attraccasse ad Abadan per il suo secondo viaggio in Iran. Durante il viaggio di ritorno l'equipaggio questa volta era sereno, perchè era evidente che un tentativo di sequestro da parte degli inglesi, giudicati in torto, sarebbe stato considerato un mezzo atto di pirateria. All'andata si respirarono momenti di tensione per un'altra ragione, però: il principe ereditario Akihito si trovava a Londra per assistere alla cerimonia di incoronazione della Regina Elisabetta. Si temeva che la notizia del secondo approdo della Nisshomaru II in Iran avrebbe potuto avere conseguenze sgradevoli. Si attese quindi che la cerimonia finisse per non far fare brutte figure alla famiglia imperiale, e solo quando il principe fu al sicuro cominciarono le operazioni di carico del petrolio.

Tutta questa storia per i giapponesi fu una vera e propria catarsi: il "maledetto petrolio", per il quale i giapponesi aveva scatenato e perso la più tragica guerra della loro storia, era arrivato in Giappone, e non era il greggio scadente "concesso" con il beneplacito americano, ma del petrolio mediorentale di qualità, ottenuto a seguito di trattative complicate e viaggi pericolosi condotti senza l'avallo ufficiale della Casa Bianca. Per l'opinione pubblica giapponese di quei mesi l'operazione andata a buon fine era una consolazione per la guerra perduta, e simboleggiava l'inizio felice di una nuova fase storica di prosperità per l'arcipelago. I giapponesi ora guardavano al futuro con fiducia.

Ma tutto questo non era destinato a durare.

Gli USA, infatti, erano poco interessati alla disputa in corso tra Giappone e Regno Unito, ma guardavano con estrema preoccupazione all'avvicinamento dell'Iran all'Unione Sovietica. Si decise di agire e fu messa in atto l'Operazione Ajax, attraverso cui la CIA riuscì a far cadere Mossadeq e riportare al potere lo Scià Reza Pahlavi. Il cambio di regime significò la fine degli accordi nippo-iraniani, e rappresentò l'inizio di un consorzio petrolifero tra sette grandi compagnie americane e britanniche, sette compagnie che nei decenni successivi deterranno il monopolio del petrolio mondiale, e saranno chiamate da Enrico Mattei: "Le sette sorelle".

Il sogno di emancipazione energetica dei giapponesi era finito, ma l'episodio rappresentò il primo vero ingresso in scena nell'arena internazionale da parte del Giappone. Negli anni successivi le petroliere a disposizione dei giapponesi aumentarono, la Nisshomaru II fu messa fuori servizio e la sostituì la Nisshomaru III, che fu la più grande nave petroliera al mondo di quel periodo.

Recentemente in Giappone è stato fatto un film sulla vita di Idemitsu Sazo, intitolato: Fueled: the man they called pirate. Il film racconta la vita del Presidente della Idemitsu Kosan, ma le vicende sono molto romanzate, tanto che il protagonista ha nome e cognome diversi dal personaggio storico. Nella parte finale del film viene messo in scena anche "il caso Nisshomaru", oggetto di questo post, condito con forti elementi di fiction drammatica. Si tratta dell'unica opera che tratta di questa vicenda, poco conosciuta sia in Giappone che all'estero.