Il presente documento ha un retroscena tragico.
Saitō Dōsan, signore di Mino, si era ritirato dalla vita politica, convinto di lasciare il proprio dominio al sicuro nelle mani del figlio maggiore, Takamasa. Ma il giovane, temendo un inganno, decise di tutelarsi da possibili usurpatori: convocò i due fratelli più prossimi nella linea di successione, fingendo una malattia, e li fece assassinare nel suo palazzo.
Quando Dōsan seppe dell’eccidio, fu travolto dal dolore. Eppure, nonostante la sofferenza, il patriarca ordinò la rivolta contro l’erede tirannico. Si ritirò in un luogo sicuro, attese la fine dell’inverno, radunò i guerrieri rimasti fedeli e mosse guerra a Takamasa.
Fu uno scontro disperato. I fedelissimi di Dōsan erano inferiori di sei volte per numero, ma raggiunsero comunque il fiume Nagara per affrontare il nemico.
Il genero di Dōsan, Oda Nobunaga, stava accorrendo per soccorrerli, ma arrivò troppo tardi: la battaglia era già iniziata, e si concluse in un massacro.
Saitō Dōsan venne colpito alle spalle e ucciso; due avversari si contesero la sua testa mozzata. Nobunaga, giunto infine sul campo, poté solo fuggire, braccato dall’esercito vincitore.
Il giorno prima della morte, Dōsan aveva scritto il testamento che vedete nella foto. Lo aveva consegnato a uno dei figli superstiti, raccomandandogli di ritirarsi a vita monastica. In quel documento dichiarava che il dominio dei Saitō apparteneva di diritto a Oda Nobunaga. Le parole seguenti riflettono un senso di accettazione serena della morte, ma anche una certa soddisfazione per il destino compiuto.
Il testo si chiude con il 辞世の句 ("jisei no ku"), la poesia di commiato, come voleva la tradizione dei samurai. Nei suoi versi Dōsan esprime uno stato di rinuncia, ma anche un’inquietudine metafisica: la domanda su cosa accada dopo la fine.
Eppure, su questo documento grava un dubbio pesante.
Potrebbe essere un falso.
Analisi filologiche hanno rilevato anomalie nella scrittura e nel linguaggio, tali da far sospettare che non sia opera autentica di Dōsan. Forse fu redatto più tardi, durante l’epoca Edo, o magari prima, ma da qualcuno fedele a Nobunaga.
In effetti, il testo insiste sul diritto di Nobunaga a ereditare i domini dei Saitō — un elemento che suona come una giustificazione postuma alla sua futura campagna di conquista di Mino.