I samurai di Fukushima: gli ultimi lealisti dello shogun


I samurai di Fukushima: gli ultimi lealisti dello shogun

I samurai di Fukushima

Il nome "Fukushima" è ormai conosciuto in tutto il mondo. Gli effetti che ebbe il tragico sisma del 2011 sulle centrali nucleari nei pressi della città è stato argomento del giorno per molto tempo.

Ma la prefettura di Fukushima è celebre anche per altre ragioni in Giappone. La zona occidentale di questa prefettura in origine era un feudo a se stante chiamato "Aizu", e i samurai di quest'area ebbero un ruolo di primo piano nel corso della guerra per la costruzione del moderno Stato giapponese, quella che pose fine all'egemonia politica dei samurai, nella seconda metà del 1800.

Nella foto si vede la zona di Aizu, in rosso, mentre la parte bianca a destra è la vecchia regione di Fukushima. L'attuale regione di Fukushima racchiude in se entrambe le zone.

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Aizu era governata dal clan Matsudaira, reazionario e fedelissimo alla causa dello shogun, che oppose una resistenza ostinata all'esercito nazionale giapponese, sebbene questi avesse già deposto l'ultimo signore dei Tokugawa e conquistato la capitale Edo. Il destino del Giappone era già scritto e i fautori di questo "Risorgimento giapponese", che partì dal sud dell'arcipelago, avevano ormai la vittoria in pugno: solo le zone di Tohoku e Hokkaido avevano deciso di non deporre le armi.

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Aizu si trovava nel Tohoku, ed era una comunità di samurai ostinati, anche più della media, tanto che persino le donne avevano sviluppato un talento nell'arte bellica e, quando il castello dei Matsudaira fu assediato dall'esercito nazionale, anche loro ebbero un ruolo di primo piano nella difesa. Si tratta di un fatto molto particolare, che vede delle donne partecipi della cultura dei samurai.

Queste guerriere, infatti, oltre a combattere i nemici, compirono gesti particolari, come portare in salvo la testa mozzata della propria leader, e scrivere delle poesie prima di andare in battaglia: si tratta in entrambi i casi di atteggiamenti tipici del mondo dei samurai. Non esiste altro caso storicamente documentato di un tale legame con la cultura guerriera da parte di donne giapponesi.

Oltre alle donne, anche i giovani samurai di quella comunità erano estremamente bellicosi. Qualche tempo prima era stata costituito un gruppo di volontari chiamato byakkotai, il "corpo della tigre bianca", composto da ragazzi tra i sedici e i diciassette anni. Quando l'esercito nazionale invase Aizu, la byakkotai partecipò agli scontri, ma ebbe la peggio. I giovani samurai furono costretti a ritirarsi, feriti e demoralizzati. Il loro piano era tornare al castello dei Matsudaira e combattere fino alla morte assieme agli uomini e le donne incaricati della difesa. Ma, quando riuscirono finalmente a raggiungere il monte Iimori, furono testimoni di uno spettacolo desolante: l'esercito nemico aveva già raggiunto il castello, fumo e fiamme si levavano dagli edifici. I giovani ragazzi si disperarono all'idea di non poter trovare la morte combattendo assieme ai membri della loro comunità, ma su una cosa era tutti d'accordo: non si sarebbero mai consegnati al nemico. Così venne presa la decisione, i giovani si sedettero sull'erba bagnata dalla pioggia e, in un nuvoloso mattino di Ottobre, si suicidarono tagliandosi il ventre. Uno di loro non morì e fu trovato da un contadino che passava lì per caso. Sappiamo di ciò che avvenne sul monte Iimori grazie al suo racconto. Tra coloro che si tolsero la vita, c'è anche un parente di Ibuka Masaru, il futuro co-fondatore della Sony.

I ragazzi, però, avevano frainteso la proporzione del fumo e delle fiamme che avevano visto. Credettero che il castello fosse prossimo alla distruzione, ma in realtà l'assedio era appena cominciato, e avrebbero avuto il tempo di tornare per combattere assieme agli altri. La decisione di togliersi la vita fu quindi il risultato di un errore di valutazione.

In ogni caso, alla fine gli occupanti del castello si arresero, e gli uomini e le donne di Aizu riversarono le loro energie nella costruzione del moderno Stato giapponese, in alcuni casi anche viaggiando all'estero per apprendere la scienza occidentale.

Tuttavia, la strenua resistenza di quella comunità fu giudicata eccessiva e preoccupante dal governo centrale, il quale temeva che l'ex feudo di Aizu potesse diventare ancora una volta focolaio di rivolte, qualora se ne fosse presentata l'occasione. Fu forse per questo motivo che si decise di cambiare il nome di Aizu in "Wakamatsu", nella speranza di cancellare la cultura locale, tradizionale e reazionaria. Wakamatsu fu poi fuso con Fukushima, formando la prefettura che esiste oggi.  Agli abitanti locali questa decisione non piacque, e fecero molte proteste affinché la loro prefettura rimanesse autonoma, ma il governo non cedette, e alla fine l'identità e la storia di Aizu furono "diluite" ulteriormente da questo accorpamento amministrativo.

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I samurai e i governanti del Giappone erano ai ferri corti in quel periodo, tanto che negli anni successivi ci furono anche una serie di rivolte contro il governo centrale da parte di elementi reazionari legati al vecchio sistema shogunale. Non sorprende quindi che gli oligarchi nipponici abbiano visto nella comunità di Aizu una minaccia alla stabilità nazionale.

La storia del suicidio dei giovani della Byakkotai ebbe eco anche all'estero nei decenni successivi. Quando venne a sapere di questa storia, Benito Mussolini rimase molto colpito. Il poeta giapponese Haruichi Shimoi, che viveva in Italia da anni ed era un fervente sostenitore del fascismo, gli raccontò questa storia e nel 1928 lo convinse a spedire una colonna di epoca romana, presa da Pompei, come dono alla Nazione giapponese. Al cimelio fu aggiunta un'iscrizione sul retro, che si vede nella foto.

Secondo altre versioni, la spedizione della colonna fu dovuta a un pasticcio mediatico causato dallo stesso Shimoi, che aveva comunicato a un sindaco giapponese l'intenzione di Mussolini di spedire un dono al popolo giapponese, e con la notizia che poi sarebbe rimbalzata sulla stampa nipponica. Questo però prima che il governo fascista avesse davvero preso la decisione di spedire quel dono, perciò il Ministro degli esteri italiano, forse irritato dalla presa di iniziativa di Shimoi, dovette spedire la colonna annunciata alla stampa giapponese, per non rischiare di far fare all'Italia una brutta figura internazionale. Anche i nazisti spedirono un dono per commemorare l'evento alcuni anni dopo, nel 1935.

Tuttavia, dopo la guerra, gli americani ordinarono che il dono tedesco fosse distrutto, mentre la colonna italiana poteva restare, a patto che fosse cancellata l'iscrizione dei fascisti sul retro. I giapponesi cancellarono l'iscrizione del monumento italiano, ma disubbidirono all'ordine di distruggere il cimelio tedesco, nascondendolo invece. Negli anni '50, quando finì l'occupazione americana, l'iscrizione sulla colonna fu ripristinata e il monumento tedesco fu rimesso al suo posto, completamente integro.

I doni di Mussolini e Hitler sono lì ancora oggi, sul sito dove avvenne il suicidio dei giovani samurai della byakkotai.