Donne samurai: un falso mito


Donne samurai: un falso mito

Ho visto di recente un documentario sulle donne samurai prodotto all'estero e presentato da Rai Storia. La trasmissione è interessante, particolarmente nella seconda parte, ma riporta anche informazioni inesatte, motivo per cui vorrei fare chiarezza con questo post.


Il mito delle donne guerriere in Giappone

Non ci sono prove attendibili che sono esistite donne samurai nella storia del Giappone, fatta eccezione per Nakano Takeko e le sue compagne di Aizu, che combatterono in un’unica battaglia nella seconda metà del XIX secolo, e che sono le protagoniste della trasmissione in questione.

Il documentario è introdotto dal noto storico Alessandro Barbero, il quale informa lo spettatore che in Giappone sono stati trovati i resti di molte donne sui campi di battaglia, e riporta l’analisi di un archeologo, non uno storico, secondo cui: “…Una volta gli eserciti giapponesi comprendevano moltissime donne guerriere, solo che nessun cronista ne voleva parlare”. 
Barbero commenta  questa posizione, esprimendo, giustamente, un certo scetticismo. 


Tante ossa, poche fonti

Nel Giappone medievale i cronisti erano pressoché inesistenti. La storia di quel periodo si studia soprattutto attraverso documenti frammentari come lettere, giuramenti, divieti e leggi. Non c’era l’intento di nascondere nulla: semplicemente, le fonti erano poche.

Esistono davvero ritrovamenti di scheletri femminili, ma non ci sono prove che quelle donne fossero samurai. Le analisi mostrano ferite da arma da fuoco e da taglio, ma nulla dimostra — come viene ribadito anche nel documentario — che fossero presenti in battaglia volontariamente o al fianco degli uomini.


Donne coinvolte in ruoli logistici

Alcuni ipotizzano che si trattasse di semplici abitanti locali, probabilmente rastrellate e impiegate forzatamente per svolgere compiti di natura logistica. Non erano, quindi, nobili colte, rispettate dalla società e addestrate all’uso delle armi nel corso dei decenni, come i samurai comunemente intesi. 

Ipotizzo che queste donne siano state coinvolte in alcune campagne militari perché certi signori feudali erano a corto di uomini. Uno dei campi di battaglia in questione è quello di Senbonmatsubara, dove combatterono i clan Takeda e Hojo. 

I Takeda erano in crisi profonda nell’anno in cui si svolse la battaglia in questione, e, secondo i documenti di quell’epoca, il leader Katsuyori era stato costretto a chiedere ai monaci in ritiro nei templi di tornare a servire il suo clan, perché era a corto di uomini. La situazione era disperata e non sorprende, quindi, che siano state coinvolte anche delle donne in compiti pericolosi, nel corso delle battaglie.

Guerre e saccheggi: il ruolo della popolazione civile

Un altro aspetto spesso trascurato è che molte guerre di questo periodo avevano lo scopo di saccheggiare risorse nei feudi confinanti, soprattutto durante carestie. 

Gli eserciti non erano composti solo da samurai, ma anche da contadini e persone comuni. Le donne potevano essere impiegate per recuperare cibo o risorse, mentre i soldati tenevano impegnati i nemici.

Ci sono quindi molte ragioni ordinarie che spiegano la presenza di quei resti femminili sul campo di battaglia, e la maggior parte di queste analisi sono più verosimili della teoria sulle donne samurai. 


La figura della onna-bugeisha

 La cosiddetta “onna-bugeisha”, la donna samurai, è una figura che appartiene alla tradizione letteraria e folkloristica giapponese, non alla storia. Su Wikipedia esiste una pagina dedicata alle “onna-bugeisha“, ma, pur essendo disponibile in diverse lingue, manca la versione giapponese. Un dettaglio interessante che, a mio avviso, suggerisce come la presunta storicità delle donne samurai sia in gran parte un’invenzione occidentale.

Quasi tutte le donne giapponesi nominate in quelle pagine  sono in realtà assenti dai documenti storici, e presenti solo in opere letterarie, opere spesso scritte molti secoli dopo i fatti che raccontano. In altre parole, sono frutto di fiction e racconti di fantasia. In particolare Tomoe Gozen, che viene descritta anche nel documentario, appare in una celebre opera chiamata “Heike Monogatari”, che appartiene a un genere più vicino al mondo letterario che a quello storico , ma non viene mai nominata in documenti affidabili.


Nakano Takeko e le guerriere di Aizu

Per quanto riguarda le guerriere di Aizu, tutto ciò che sappiamo di loro è riportato da alcune fonti storiche secondarie. Secondo queste testimonianze, molte delle guerriere di Aizu iniziarono il loro addestramento solo circa sei mesi prima dell’invasione del loro feudo da parte dell’esercito imperiale, comprendendo che la situazione stava volgendo al peggio, e che i samurai erano in numero insufficiente per far fronte al nemico. L'idea di coinvolgere delle donne nella difesa non entusiasmò particolarmente gli uomini di Aizu, che temevano di essere derisi dai nemici. Questo perché non era affatto comune che donne di alto rango combattessero al fianco di uomini sui campi di battaglia: mai, in nessuna epoca.

Nakano Takeko e le sue compagne sono un caso più unico che raro, tanto che, come viene giustamente evidenziato anche nel documentario, sono diventate modello di ispirazione per molte donne giapponesi che praticano arti marziali oggi. Tra parentesi, le storie letterarie di donne samurai a cui accennavo si svolgono quasi sempre durante l’assedio finale di un castello, in cui inevitabilmente gli occupanti sono sconfitti e uccisi. Quelle stesse storie non vengono ambientate mai in scontri urbani, in battaglie in campo aperto o sui mari. Questo dimostra evidentemente che, se alcune donne hanno davvero preso in mano delle armi per combattere, lo hanno fatto mosse dalla disperazione della situazione in cui si trovavano, non perché erano state preparate a quel compito sin dalla giovane età ed erano trattate allo stesso modo degli uomini.


La condizione della donna giapponese

La verità era che in quell’epoca complicata le donne avevano una vita molto difficile: dovevano tenere un basso profilo, erano automaticamente escluse dall’eredità dei padri, ed erano letteralmente vendute come “spose” ad altri signori con cui si dovevano tessere alleanze. Le donne giapponesi, inoltre, non potevano portare un nome pubblico che contenesse il carattere del loro clan, come invece accadeva per gli uomini, e spesso erano costrette a contendersi il marito con altre donne poiché i samurai, in certe epoche storiche, erano poligami. La storia delle donne nella società dei samurai è molto più fosca di quanto viene mostrato nella trasmissione.